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Milano—Nonostante i benefici siano enormi, la maggior parte delle persone non adotta uno stile di vita sano finché non è troppo tardi. È ciò che chiaramente emerge dal report Longevity Paradox: Why We Don’t Plan for Healthy Aging Before It’s Too Late , condotto da BCG su 9.350 persone in 19 Paesi in occasione del St. Moritz Longevity Forum. La promessa è chiara: la possibilità di aggiungere fino a 24 anni di vita in salute con semplici scelte quotidiane.

Il paradosso della longevità

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce “healthy aging” la capacità di mantenere funzionalità e benessere anche in età avanzata. Non si tratta soltanto di contenere le spese sanitarie e sociali – una questione determinante per governi e sistemi sanitari messi a dura prova negli ultimi anni – ma soprattutto di guadagnare anni da vivere in maniera attiva, coltivando relazioni, viaggiando, facendo progetti, partecipando alla vita della comunità.

Lo studio rivela però un divario netto, e paradossale, tra aspirazioni e comportamenti. Meno del 40% degli over 56 con patologie preesistenti dichiara di impegnarsi in attività salutari. Ancora più sorprendente la fotografia dei giovani: da un lato curiosi e pronti a sperimentare, dall’altro incapaci di mantenere continuità. Usano dispositivi wearable (come orologi smart) e app per monitorare passi e sonno, ma allo stesso tempo saltano i pasti, consumano regolarmente bibite zuccherate e soffrono di stress o burnout (40%), il doppio rispetto alle generazioni più anziane.

Cosa ci tiene giovani

Alla domanda su quali siano le priorità per invecchiare bene, la salute fisica e le capacità funzionali sono al primo posto (29% delle risposte), seguite da una dieta bilanciata (25%), attività fisica regolare (22%) e sonno di qualità (22%). Ma accanto a queste esigenze concrete emergono bisogni più profondi: vivere con gioia e avere uno scopo (22%), restare mentalmente stimolati e creativi (19%).

La confusione nasce qui: molti scambiano i mezzi (fare sport, dormire, mangiare sano) per i fini (essere vitali, sentirsi realizzati, restare indipendenti). Al contrario, quando la motivazione viene ancorata a un obiettivo concreto e personale, come ballare a un matrimonio o fare trekking in montagna anche a 80 anni, la spinta al cambiamento diventa più forte e duratura.

Gli autori dell’analisi le chiamano health ambition, ambizioni di salute: non c’è un’età giusta per iniziare né un percorso identico. È proprio la personalizzazione, secondo BCG, la chiave per rendere efficace ogni piano di longevità.

Per spiegare le differenze, lo studio introduce una scala a cinque gradini:

  1. Longevity Dismisser, ignorano il tema e preferiscono “vivere e basta”.
  2. Longevity Curious, sono incuriositi ma inattivi.
  3. Proactive Experimenter, provano pratiche salutari senza costanza né metodo.
  4. Personalized Optimizer, più strutturati, capaci di combinare strategie diverse.
  5. Holistic Pioneer, minoranza (12%) che fa della longevità una scelta di vita completa, basata su dati scientifici e approcci integrati.

Le differenze sono anche geografiche. Nei Paesi asiatici e in Medio Oriente fino al 70% degli intervistati usa dispositivi digitali e applicazioni per monitorare salute e stili di vita. In Europa e negli Stati Uniti prevale invece l’uso di terapie avanzate e diagnostica specialistica.

Il ruolo della tecnologia e dell’AI

Il quadro diventa ancora più complesso se si guarda ai sistemi sanitari: i costi aumentano, il personale medico è insufficiente, le liste d’attesa si allungano. In questo contesto le tecnologie digitali possono essere alleate preziose. Parliamo di un intero ecosistema che integra monitoraggi tramite wearable, piattaforme di coaching personalizzato e veri e propri assistenti virtuali basati su intelligenza artificiale. La loro forza sta nella capacità di trasformare obiettivi astratti in azioni quotidiane semplici e concrete: micro-passaggi tradotti in un linguaggio chiaro, spesso resi più stimolanti grazie a meccanismi di gioco e motivazione continua.

Nei Paesi digitalmente avanzati e con meno vincoli sulla privacy, come India e Cina, l’adozione di soluzioni basate su AI che agiscono come agenti sanitari personali ha già superato il 20-25%. Questi strumenti si stanno affermando anche in alcuni Paesi occidentali, come la Svizzera (14%) e la Germania (10%).

L’ostacolo è proprio la fiducia. Secondo lo studio, l’80% delle persone sarebbe disposto a condividere dati personali in cambio di servizi sanitari personalizzati. Tuttavia, notizie su violazioni e business poco trasparenti hanno già compromesso la credibilità del settore. Senza regole chiare e garanzie etiche, anche gli strumenti più promettenti rischiano di restare marginali.

La sfida è collettiva

Il mercato della longevità, dagli integratori alle piattaforme digitali, alle cliniche, è in rapida crescita, ma ancora frammentato. I pionieri di queste abitudini dimostrano che un cambiamento reale è possibile: routine personalizzate, informazione di qualità, impegno quotidiano. Il problema è la scalabilità: come rendere queste pratiche accessibili e diffuse?

Servono politiche pubbliche, aziende tecnologiche e sistemi sanitari capaci di integrarsi e di proporre modelli di cura centrati sulla persona. La prossima decade, avverte lo studio, sarà decisiva: la longevità non è più un tema di nicchia, ma un ecosistema globale in costruzione.

Per ulteriori informazioni

Alessia Esposito
Communication & Content Senior Manager

Rita Genuardi
Media Relations & Content Specialist
Tel: 344 01737

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