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M&A, Italia in Controtendenza: Nel 2022 Sfiorati 100 Miliardi Di Controvalore

Dopo il picco post-Covid, l’attività M&A è calata del 39% a livello globale, ma in Italia il valore di acquisizioni e fusioni è più che raddoppiato grazie alle mega-operazioni. Il report di Boston Consulting Group suggerisce cosa aspettarsi per il 2023.

Milano—L’Italia sfiora quota 100 miliardi. Nel 2022 il valore di fusioni e acquisizioni nel Paese è più che raddoppiato, toccando i 99 miliardi di dollari e superando la media degli ultimi cinque anni. Il risultato è in controtendenza rispetto all’andamento globale delle operazioni M&A, scese del 39% a 2.622 miliardi di dollari dopo un 2021 da record. Il dato italiano è figlio dell’onda lunga della ripresa post-pandemica oppure anticipa una tendenza mondiale per il 2023?

Secondo l’ultima edizione del Global M&A Report di Boston Consulting Group, l’elevata inflazione, il rialzo dei tassi d’interesse e il rallentamento economico hanno interrotto lo shopping frenetico seguito ai lockdown. Restano tuttavia ottime ragioni per comprare e vendere: per esempio, la volontà di abbattere il debito, la necessità di adattare le catene di fornitura al contesto geopolitico, l’urgenza di migliorare il proprio profilo di sostenibilità.

“Nel 2022, spiega Edoardo Palmisani, Managing Director e Partner di BCG, l'M&A in Italia ha visto raddoppiare il valore delle transazioni anno su anno. Il dato tuttavia è influenzato da alcune transazioni di dimensioni significative che da sole hanno rappresentato più del 50% del valore complessivo delle operazioni.”

I mega-deal hanno sostenuto l’attività M&A nel 2022

Nel 2022 il mercato M&A globale si è riallineato alla media storica dopo aver raggiunto nel 2021 il picco di 4.300 miliardi di dollari. Nel mondo sono state concluse 36.046 operazioni per un ammontare investito di 2.622 miliardi. L’attività è stata soprattutto intensa negli Stati Uniti, responsabili per il 30% degli affari e per il 50% del loro valore, e in Regno Unito. Lontana ancora dai numeri pre-Covid resta invece la Cina, dove i lockdown hanno ostacolato la conclusione di transazioni. In modo controintuitivo, la guerra ha stimolato l’attività M&A, spingendo i gruppi occidentali a recidere i loro legami con la Russia e viceversa. Così, per esempio, l’oligarca Roman Abramovich ha venduto il Chelsea a un consorzio guidato dall’americano Todd Boehly per 3,1 miliardi, il prezzo più alto mai pagato per un club sportivo. Le grandi e mega-operazioni sono state del resto protagoniste del M&A nel 2022. Basti pensare ai 75,6 miliardi offerti da Microsoft per Activision Blizzard, ai 41,3 miliardi pagati da Elon Musk per Twitter oppure in Italia all’opa da 52 miliardi di Edizione e Blackstone su Atlantia.

Scenari 2023

“Guardando al 2023, continua Palmisani, il clima di incertezza sull'evoluzione del contesto macroeconomico determinerà un approccio ancora prudente alle acquisizioni, mettendo ulteriormente alla prova la resilienza del mercato dell'M&A. D’altra parte è bene evidenziare alcuni trend strutturali che riteniamo continueranno a favorire l'attività di M&A, come ad esempio la revisione del portafoglio di business per ottimizzare il Total Shareholder Return o l’accesso a nuove forme di capitale per finanziare progetti di crescita.”

Il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie ha infatti raffreddato l’entusiasmo, portando a un rallentamento delle operazioni sul finire del 2022 e all’inizio del 2023. Con il rischio di recessione globale le imprese stanno adottando un approccio più prudente agli investimenti, nel timore che i ricavi aggiuntivi non compensino le spese straordinarie. Il rialzo dei tassi d’interesse ha reso più costosa la leva del debito e quindi rallentato l’attività dei private equity e venture capital che pure dispongono di ingenti risorse da investire. Il calo delle valutazioni, specialmente nel settore tecnologico, ha aperto un divario fra le offerte dei compratori e le pretese dei venditori. Quest’ultimi avranno bisogno di alcuni mesi per adattarsi alla nuova realtà del mercato. Il tracollo delle spac in borsa non ha solo interrotto il flusso di quotazione di questi veicoli, ma anche frenato le fusioni con le aziende-obiettivo, ostruendo un canale di disinvestimento per i fondi di private equity e di venture capital.

Il difficile contesto macroeconomico potrebbe però fornire anche una spinta all’attività del comparto, poiché le tensioni geopolitiche possono diventare un fattore di M&A, in entrata e in uscita. Basti pensare, per esempio, all’opportunità percepita da alcune multinazionali di tagliare i legami con la Cina oppure alla loro volontà di rilocalizzare la produzione in Paesi più vicini ai mercati di sbocco per evitare problemi logistici o di approvvigionamento. La digitalizzazione resta infine un imperativo di investimento per le aziende, così come la necessità di migliorare il proprio profilo Esg.

Infine, i criteri ambientali, sociali e di governance sono ormai da tempo una componente cruciale della due diligence nel valutare rischi e opportunità degli obiettivi M&A. Sempre più spesso, però, questi requisiti stanno diventando il movente principale delle fusioni e acquisizioni al fine di allineare il profilo Esg di un’azienda alle attese degli investitori. Secondo l’analisi di Bcg, il numero di operazioni giustificate principalmente da considerazioni ambientali è raddoppiato negli ultimi 20 anni, con un’evidente accelerazione negli ultimi due-tre anni. La leva “green” va però maneggiata con cura e consapevolezza, evitando di sopravvalutare le aziende obiettivo o di sceglierne di incompatibili con il piano industriale. In Europa, calcola Bcg, le acquisizioni verdi hanno faticato non poco a creare valore nel lungo termine.

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