Milano—Mentre l’attenzione si concentra sull’aumento dei dazi che ridisegnano i flussi di beni fisici, un cambiamento altrettanto profondo sta avvenendo in uno scenario più silenzioso: la trasformazione del commercio internazionale dei servizi. Questi comprendono un ampio spettro di attività, dal turismo all’intrattenimento, dalla finanza al retail, e rappresentano oggi fino al 60% del PIL mondiale, una quota ancora più alta nelle economie avanzate, generando un giro d’affari stimato in 8.700 miliardi di dollari nel 2024. Sebbene questo valore equivalga a circa un terzo del commercio di beni, la crescita attesa è doppia: come specificato nel report di Boston Consulting Group “ Services Are the New Fault Lines in Global Trade ”, entro il 2032 il commercio di servizi dovrebbe superare gli 11.700 miliardi di dollari, crescendo a un ritmo medio annuo del 5,6%.
“I dazi e le tensioni geopolitiche non stanno solo cambiando il commercio dei beni, ma stanno ridisegnando anche quello dei servizi: dal cloud alle piattaforme tecnologiche – si tratta ormai di infrastrutture strategiche per l’economia globale, perché abilitano la gestione delle operation, alimentano gli strumenti di AI, custodiscono dati sensibili e influenzano la competitività dei Paesi.” Spiega Ivano Ortis, Managing Director e Partner di BCG. “Di conseguenza, la regolazione, sicurezza e il controllo di questi servizi sono entrati a pieno titolo nell’arena geopolitica. Le imprese devono anticipare l’impatto delle nuove regole, attutire i rischi economici e trasformare i propri modelli operativi per restare competitivi in un mondo frammentato.”
Nonostante gli effetti indiretti delle tensioni commerciali, il commercio globale dei servizi continua a mostrare una vitalità superiore a quello dei beni: gli Stati Uniti guidano con 1.100 miliardi di esportazioni nel 2024 (14% del totale mondiale), vantando un surplus annuo di circa 300 miliardi di dollari (quasi 1.000 miliardi se si includono le vendite delle affiliate offshore). Seguono Regno Unito (con 649 miliardi di dollari di esportazioni di servizi e un surplus di 223 miliardi di dollari nel 2024), Irlanda (519 miliardi di dollari di esportazioni e un surplus di 12 miliardi di dollari) e India (375 miliardi di dollari di esportazioni e un surplus di 91 miliardi di dollari), mentre la Cina – pur restando importatore netto – si affaccia sempre più come player esportatore, con 446 miliardi di dollari nel 2024.
Il quadro competitivo è polarizzato: i paesi avanzati, come USA e Regno Unito, primeggiano nei servizi ad alta intensità di proprietà intellettuale e innovazione, come media, finanza e consulenza. Gli hub a basso costo, ad esempio l’India, dominano invece i servizi digitali ad alta intensità di manodopera: IT, processi aziendali, sviluppo software. La Cina ambisce a unire i due modelli investendo massicciamente in AI, infrastrutture digitali e servizi integrati. In prospettiva, i servizi di domani potrebbero includere operazioni di sistemi di intelligenza artificiale, gestione della robotica, traduzione automatica avanzata o monitoraggio remoto di impianti e infrastrutture.
I paesi con ampi surplus di esportazioni non sono però immuni alle vulnerabilità: se i dazi sono difficili da applicare ai servizi, i governi hanno comunque un ampio ventaglio di strumenti di pressione: norme sulla localizzazione dei dati, limitazioni agli investimenti stranieri, controlli sull’export di algoritmi e modelli AI, tasse sui servizi digitali, multe per pratiche anticoncorrenziali. Ad esempio, l’Unione Europea ha introdotto il Digital Markets Act, il GDPR e sanzioni milionarie: la Commissione europea ha multato Apple per 500 milioni di euro per aver limitato le opzioni di pagamento e Meta per 200 milioni di euro per il suo modello pubblicitario "pay-or-ok1". Google è invece stata multata per 2,95 miliardi di euro ai sensi della normativa antitrust dell'UE per le sue pratiche concorrenziali nel settore delle tecnologie pubblicitarie. A dicembre 2023 l’UE ha anche varato lo strumento Anti-Coercion, che le consente di imporre restrizioni ai servizi in caso di azioni commerciali “coercitive” da parte di paesi terzi. Sebbene non sia stato utilizzato, tale opzione rimane aperta in futuro. Inoltre, le imposte specifiche sui servizi digitali, introdotte da oltre una dozzina di nazioni con aliquote fino al 12%, sono diventate leve negoziali nei rapporti bilaterali. Anche il tema degli investimenti è più politicizzato: basti pensare alle pressioni americane su ByteDance per la cessione di TikTok o alle richieste tedesche di limitare applicazioni cinesi di AI generativa.
BCG ha recentemente somministrato un sondaggio agli acquirenti di tecnologie informatiche di aziende statunitensi ed europee di medie e grandi dimensioni in diversi settori. I risultati fotografano un clima di cautela. Dopo l’annuncio di nuovi dazi negli USA, la quota di aziende che prevedono un aumento del budget IT è scesa dal 77% al 56%. Tra quelle che ancora investono, l’incremento medio previsto si è dimezzato. Il controllo dei costi è diventato la priorità assoluta (63% degli intervistati), mentre cresce la preparazione a scenari macroeconomici e commerciali incerti. Nonostante i tagli, l’AI resta un’area protetta: l’80% delle aziende dichiara di mantenere o incrementare la spesa in intelligenza artificiale. Le organizzazioni più mature nell’uso di queste tecnologie le impiegano già per aumentare produttività, ridurre costi e consolidare vantaggi competitivi (40% degli intervistati). Quelle meno esperte, invece, attendono sviluppi normativi e tecnologici prima di muoversi.
Secondo BCG, per affrontare un contesto così frammentato le aziende devono passare da un approccio reattivo a uno proattivo, sintetizzato nell’acronimo ACT: Anticipate, Cushion, Transform. In primis è necessario anticipare l’impatto: mappare l’esposizione ai cambiamenti normativi, creare “centri di comando” interni per monitorare rischi geopolitici e sviluppare scenari alternativi, modulari e reversibili. In secondo luogo, le aziende sono chiamate ad attutire i colpi sul conto economico: mobilitare team e strumenti di AI per ridurre i costi, adattare i modelli di pricing a logiche più flessibili e inserire clausole contrattuali di protezione nei mercati instabili. Infine, trasformare il modello operativo: sviluppare architetture tecnologiche locali e agili, capaci di rispettare regole diverse senza rinunciare del tutto a economie di scala. Non serve duplicare ogni sistema, ma saper separare componenti critiche (storage, calcolo, flussi di dati) per adeguarsi ai requisiti regionali. È infine fondamentale sviluppare la capacità di testare e scalare nuove tecnologie, modelli di erogazione o ingressi nei mercati prima dei concorrenti.
Per ulteriori informazioni
Alessia Esposito
Communication & Content Senior Manager
Rita Genuardi
Media Relations & Content Specialist
Tel: +39 3440173796
Informazioni su Boston Consulting Group
Boston Consulting Group (BCG), nata nel 1963, è oggi leader della consulenza strategica, con più di 90 uffici in 50 paesi e 30.000 professionisti. BCG è al fianco dei clienti in diversi settori e geografie per identificare insieme le opportunità a maggior valore aggiunto, affrontare le sfide critiche e aiutarli nella trasformazione del business. Presente nel nostro Paese da oltre trent’anni, BCG Italia opera attraverso i due uffici di Milano e Roma ed è alla guida del Sistema East Mediterranean and Caspian.