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MILANO—L’accordo commerciale recentemente raggiunto tra Unione Europea e Stati Uniti sui dazi apre una nuova stagione per l’economia europea. Se non altro, la presenza di un’intesa – e un’aliquota fissata al 15% per le esportazioni europee negli Stati Uniti, con alcune eccezioni settoriali – ha evitato una potenziale guerra commerciale, facendo un po’ di chiarezza in un contesto che negli ultimi mesi era apparso sempre più segnato da incertezza e tensione.

Secondo la nuova prospettiva di Boston Consulting Group (BCG), intitolata “ The EU-US Trade Agreement: Some Clarity and Ongoing Uncertainty ”, questo nuovo equilibrio, pur non essendo definitivo, rappresenta un momento di svolta per molte industrie europee, soprattutto in comparti chiave come automotive, aerospazio, chimica, elettronica e farmaceutico.

Siamo a un cambiamento di scala nelle relazioni commerciali con gli Stati Uniti. L’aliquota tariffaria media effettiva applicata alle esportazioni europee è passata dall’1,4% di dicembre 2024 a circa il 16% attuale.” Spiega Davide Di Domenico , Managing Director e Senior Partner di BCG, responsabile per l’area East Mediterranean and Caspian: La struttura industriale italiana, fatta in larga parte di aziende familiari e di media dimensione, ci dà una certa agilità in un contesto così volatile. Le imprese più vulnerabili saranno quelle più esposte a settori commoditizzati, dove non si riesce a trasferire i costi al cliente. Il made in Italy, per fortuna, spesso vive in nicchie premium e riesce meglio a “superare” gli aumenti di costo. Certo, ci sono mercati—penso al lusso, che subirà i dazi più pesanti—dove l’effetto sulla domanda potrà farsi sentire.”

Dopo un primo semestre 2025 segnato da forte instabilità, la definizione di un tetto tariffario porta almeno un riferimento certo su cui le imprese possono cominciare a orientarsi. Tuttavia, l’impatto delle nuove misure varia significativamente tra settori e Stati membri. Alcuni comparti risultano particolarmente esposti: i metalli raggiungono un’incidenza del 33%, il settore fashion e lusso si attesta al 24%, mentre i macchinari meccanici toccano il 20%. Per ciascuno di questi comparti, l’impatto stimato si aggira tra gli 8 e i 9 miliardi di dollari. Particolarmente rilevante è la situazione del biopharma: se dovesse essere soggetto all’aliquota piena del 15%, diventerebbe il settore europeo più penalizzato, con un impatto potenziale di circa 22 miliardi di dollari.

Per l’Italia, l’effetto delle nuove tariffe è ancora più marcato.

L’aliquota media effettiva è aumentata dal 2,2% al 18%, con un incremento pari a oltre nove volte. Anche in questo caso, i settori più colpiti sono i metalli (fino al 37%), il fashion e lusso (26%) e i beni durevoli (21%). In termini assoluti, i maggiori aumenti di costo riguardano proprio il fashion & lusso, con circa 1,6 miliardi di dollari in dazi aggiuntivi, seguito dai macchinari meccanici con 1,5 miliardi e dai metalli con 1,2 miliardi. Anche qui, se il settore biopharma venisse incluso tra le merci soggette ad aliquota piena, si collocherebbe al primo posto per impatto complessivo, con circa 1,8 miliardi di dollari. Per quanto riguarda il comparto automotive, le carrozzerie sono tra le componenti più penalizzate, con dazi che possono arrivare fino al 38% a causa dell’utilizzo di acciaio e alluminio, materiali già soggetti alle tariffe elevate della Section 232 statunitense.

“Bisogna trasformare questa sfida in opportunità.” continua Di Domenico. “Serve fare un’analisi dettagliata dei costi aggiuntivi che si subiscono, ma anche di quelli dei propri competitor, poiché non è detto che l’impatto sia simmetrico. Oltre a cercare di ridurre i dazi cambiando la base fornitori, è utile rivedere il proprio posizionamento competitivo, applicando logiche di teoria dei giochi: come cambiano le scelte dei concorrenti se i loro costi aumentano più o meno dei nostri?”

La nuova soglia tariffaria, pur rappresentando il livello più alto degli ultimi decenni, è comunque ben inferiore alle proiezioni iniziali che paventavano aumenti compresi tra il 20% e il 50%. Diversi settori strategici sono stati esclusi dall’applicazione di dazi: tra questi, l’industria aerospaziale, i semiconduttori, alcuni prodotti chimici, risorse naturali e beni agricoli specifici. Non sono previste modifiche tariffarie per le esportazioni statunitensi verso l’Unione Europea, che ha inoltre ritirato ogni minaccia di misure ritorsive. Tuttavia, molti dettagli operativi devono ancora essere chiariti e, su alcuni passaggi chiave, permane un margine di ambiguità che rischia di generare interpretazioni divergenti. È il caso, ad esempio, della reale applicazione del tetto massimo del 15%: se da un lato tale soglia rappresenta un limite invalicabile, dall’altro non è del tutto chiaro se i nuovi dazi ingloberanno o si sommeranno alle tariffe esistenti – come quelle applicate secondo il principio della "nazione più favorita" (MFN).

L’accordo rappresenta anche un segnale politico forte. L’impegno di UE e USA a collaborare contro la sovrapproduzione globale potrebbe essere il primo passo verso un’alleanza industriale più solida tra le due sponde dell’Atlantico, utile a rispondere con più forza alla concorrenza di economie extra-UE.

Ma le aziende europee dovranno rivedere i costi, i fornitori e i prezzi, adattando l’organizzazione interna alle nuove regole sui dazi. In un contesto ancora incerto, sarà importante avere strumenti per monitorare gli sviluppi, valutare l’impatto sui singoli prodotti e investire in competenze adatte a gestire il cambiamento, poiché anche chi non esporta direttamente negli Stati Uniti potrebbe risentire di effetti indiretti, ad esempio a causa di nuove dinamiche competitive sui mercati globali.

Al di là dei dettagli ancora aperti – tra cui l’effettiva applicabilità dei 600 miliardi di dollari di investimenti europei annunciati negli USA o l’acquisto da parte dell’UE di 750 miliardi di dollari in prodotti energetici americani – l’intesa sancisce un cambio di passo nella politica commerciale europea. Si passa da una logica difensiva a un approccio più proattivo, che chiama in causa la capacità di leggere le nuove regole come leva per accelerare transizioni già in corso: quella digitale, quella ecologica e quella geopolitica. Se accompagnato da una strategia chiara, inclusiva e ben strutturata, questo accordo potrebbe diventare il volano per una nuova competitività europea fondata su innovazione, sicurezza e cooperazione industriale. Ma la condizione per riuscirci è una sola: non considerare l’accordo come un punto d’arrivo, bensì come l’inizio consapevole di una fase di profondo ripensamento operativo e sistemico.

Per ulteriori informazioni

Rita Genuardi
Media Relations & Content Specialist
Tel: 344 01737

Informazioni su Boston Consulting Group

Boston Consulting Group (BCG), nata nel 1963, è oggi leader della consulenza strategica, con più di 90 uffici in 50 paesi e 30.000 professionisti. BCG è al fianco dei clienti in diversi settori e geografie per identificare insieme le opportunità a maggior valore aggiunto, affrontare le sfide critiche e aiutarli nella trasformazione del business. Presente nel nostro Paese da oltre trent’anni, BCG Italia opera attraverso i due uffici di Milano e Roma ed è alla guida del Sistema East Mediterranean and Caspian.